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PAOLO CAPELLETTI Tradizioni
Tradire: dal lat. TRÀDERE dare, consegnare, mettere in mano | composto della particella TRANS oltre, al di là, indicante trasmissione, e DÈRE per DÀRE consegnare (v. Dare).
Prendiamo la fotografia: mai definitivamente sfuggita all’originaria questione dell’imitazione meccanica e pedissequa del mondo che non valeva un centesimo bucato di fronte alla pittura; incappata, cent’anni dopo, nella faccenda (noiosa ancor prima che inutile) della pretesa autenticità della foto analogica davanti a quella digitale; troppo spesso fraintesa, allora come oggi, nella questione dominante che la fotografia da sempre sfida e di cui, in ogni momento e forma, essa si è fatta carico: il tempo. Cos’è tradire? Cosa c’è del tradire nel tra-dire, nello spazio vuoto generato dalle parole? In una vostra tipica conversazione con Pierantonio Tanzola, in quel tentativo reciproco di portare oltre se stessi e di consegnare all’altro che è il dialogo, avrete con ogni probabilità l’occasione di accogliere la sua fedeltà al tradimento. Ma a un tradimento dichiarato, che riconosce e sopporta l’imbarazzo della colpa per fare del suo autore un traditore puro. In quella chiacchierata, quasi certamente, avvertirete una certa urgenza. Si tratta del rapporto dell’artista con il tempo della propria opera, un tempo tradito e, nello stesso tempo, un tempo che tradisce. In questa manovra eseguita a tentoni, tra le pieghe che mettono a disagio Kronos, eccelle la produzione fotografica di Tanzola. E perché proprio queste fotografie si presentano così – letteralmente – straordinarie? Innanzitutto, perché nominarle fotografie è improprio: si tratta di soluzioni tecniche che affidano la superficie impressionabile alla natura e al suo impeto pigro e inesorabile, in modi diversi e originali, rendendo il risultato una preda del deperimento, proprio laddove siamo soliti riconoscere alla fotografia una solenne e tipica immutabilità. La fotografia, lo scatto che immortala, ci trascina troppo spesso nell’illusione che essa immobilizzi il tempo per l’istante necessario a rubargli proprio quell’istante stesso e consegnarcelo in immagine. Queste strane operazioni fotografiche, questi schizzi della Matita della Natura, per dirla con William Fox Talbot, ci confessano che, invece, la scrittura della luce nulla ha a che vedere con la linea del tempo, con il cronologico che noi crediamo scandisca la vita del cosmo. Si tratta, piuttosto, di un cristallo di qualche tempo archetipico che esplode e si riavvolge continuamente, come in un movimento di sistole e diastole che pompa vita e senso indipendenti, affascinanti, molteplici e imprevedibili. Questi “scatti” non sono repentini, queste “istantanee” non vivono di un solo istante, ma li attraversano tutti e, come capita con quel vecchio amico da cui la vita continua a provare a separarci, ogni volta che incontriamo queste foto non siamo cambiati solo noi, ma anche loro presentano sempre nuove rughe, nuove storie. Fotografie tradite nella loro immortalità che si tentano di sollevare in massima parte l’opera dal bagaglio dell’autore, rivoltando le nostre credenze sulla loro autonomia sbattendoci in faccia la loro vita, il loro vivere. Fotografie, allora, traditrici: del loro ideatore, in primis, che viene orgogliosamente lasciato un passo indietro e, in secondo luogo, del loro presunto compito di testimonianza, che qui disattendono in virtù della loro mutevolezza. La tradizione della fotografia, il tradimento della tradizione e, come spesso accade, noi spettatori invitati a sostare sullo stesso crinale tra i due versanti, in un equilibrio trasmesso, consegnato, oltre noi stessi.
Montichiari, 2018
Paolo Capelletti (dal catalogo "Tanzola_Tradimenti", Museo Torre Civica, Medole (MN) )
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