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L'ARGINE n° 4
aprile 2023 - luglio 2023 Il numero quattro de L’ARGINE contiene contributi che spaziano dalla filosofia all’arte, dalla fotografia alla poesia. Si comincia con un dialogo tra il fotografo Enrico Savi e la scrittrice e curatrice di mostre d’arte Silvia Bottani che già diede un suo racconto inedito per il primo numero della rivista. Savi con le sue fotografie si approccia alla realtà con un pensiero multiforme e scomposto come lo è il divenire. Nelle opere di Enrico si manifesta una sorta di relativismo delle immagini, al quale l’artista dà un ordine mentale districandosi tra le maglie intricate del nostro quotidiano. Segue un confronto tra Pierantonio Tanzola e il filosofo e artista Marcello Ghilardi. Profondo studioso del pensiero sino-giapponese Ghilardi ci introduce alla cultura orientale invitandoci a comprendere il modo di porsi nei confronti della vita e dell’arte di quelle civiltà. L’essenza e l’autenticità del pensiero artistico e filosofico orientali si esprimono in Ghilardi non solo per mezzo dei suoi saggi, ma anche attraverso le sue opere d’arte. Un altro contributo molto interessante è il dialogo tra Marco Fazzini – anglista, studioso di letteratura post-coloniale e poeta – e Manuel Alegre, il più rilevante poeta portoghese vivente nonché importante politico: un confronto che toccherà diverse tematiche tra le quali il futuro della poesia e delle democrazie. Alegre ci racconta delle sue amicizie artistiche e della sua esperienza non solo letteraria, ma anche di attivista politico essendo stato uno dei protagonisti della rivoluzione contro la dittatura di Salazar. Infine possiamo leggere le poesie sul tema degli alberi, raccolti in un’inedita antologia, di un protagonista della pittura italiana del novecento: Virgilio Guidi. Toni Toniato, storico e critico d’arte, ci darà l’opportunità di approfondire un aspetto meno noto di questo artista cioè quello riguardante il valore lirico delle sue poesie.
contenuti della rivista:Editoriale - Pierantonio TanzolaIntroduzione - Andrés David Carrara, Giorgio Macii, Carla Tanzola, Pierantonio TanzolaProfilo -Enrico Savi in conversazione con Silvia BottaniDialogo - Marcello GhilardiInedito - Toni Toniato e gli alberi di Virgilio GuidiConfronto - Quella voce che mi usa... è più di me stesso Manuel Alegre in conversazione con Marco FazziniRitratti - Davide Corona |
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Profilo - Enrico Savi in conversazione con Silvia Bottani Silvia Bottani è nata e vive a Milano. Giornalista, si occupa di arte contemporanea e collabora con diverse agenzie di comunicazione. Suoi interventi sono stati pubblicati da Doppiozero, Riga, Sapiens, Arte, Rivista Segno, CultFrame. Ha pubblicato Il giorno mangia la notte e di recente Un altro finale per la nostra storia (entrambi Ed. SEM). Enrico Savi nasce nel 1976 a Milano, dove vive. Nel 2000 si laurea in giurisprudenza e intraprende la professione di avvocato, che tuttora svolge. Appassionato sin da piccolo di fotografia, praticata solo amatorialmente, nei primi anni duemila vi si riavvicina con maggior interesse e spirito critico, complice anche l’avvento del digitale. Partecipando a un circolo fotografico online scopre l’esistenza della “Holga” – una toy camera cinese - e se ne innamora, utilizzandola quasi esclusivamente per la sua ricerca fotografica negli anni successivi. Nel 2007, grazie alla fiducia dimostratagli dal gallerista milanese Federico Rui, tiene la sua prima mostra personale, alla quale seguono negli anni altre esposizioni, anche collettive, nazionali e internazionali, presso istituzioni pubbliche e private. Nel 2009, in particolare, espone i propri lavori al Politecnico di Milano (Polo Regionale di Lecco), con un’analisi critica dell’architetto-designer Flavio Albanese, direttore della prestigiosa rivista Domus; e viene invitato dal critico d’arte Flavio Arensi al Castello Visconteo di Legnano, nello Spazio dovevaccadere dedicato ai giovani artisti, col supporto analitico del prof. Italo Zannier, storico dell’arte e della fotografia. La sua ricerca fotografica – all’inizio e per anni praticata quasi esclusivamente in bianco e nero analogico, sfruttando soprattutto le possibilità espressive della multiesposizione del negativo; quindi riaccostandosi anche al digitale e al colore – è incentrata prevalentemente sul rapporto tra apparenza e realtà, indagato in particolare attraverso la rappresentazione personale di vedute urbane, architetture e paesaggi. Silvia Bottani: Caro Enrico, comincerei questa conversazione partendo da quello che mi sembra essere un carattere primario della tua ricerca. Da sempre il tuo obiettivo ha come soggetti privilegiati le architetture urbane, senza disdegnare l’osservazione di spazi naturali urbani o suburbani. Di queste architetture, vogliamo innanzitutto dire qualcosa in merito alla scelta della persistenza delle immagini? Hai lavorato spesso con la Holga, una macchina-giocattolo che permette di ottenere degli effetti distorsivi o di overlap. A che tipo di necessità risponde il bisogno di sdoppiare o sovrapporre il soggetto? C’è una necessità di affermare doppiamente una presenza che in qualche modo sembra instabile o viceversa c’è un tentativo di evidenziare l’ambiguità intrinseca del dato reale? Enrico Savi: Cara Silvia, innanzitutto grazie di avere accettato l’invito a condurre questa conversazione, cui partecipo, grazie all’immeritato invito di Pierantonio Tanzola, con molto piacere e un po’ di stupore, legato alla lunga pausa fotografica che più o meno consapevolmente mi sono preso negli ultimi anni (per lo meno dalla “ricerca” se non dalla “pratica” fotografica). Ho scoperto la Holga – nota toy camera cinese il cui uso è esploso anni fa con la moda della cosiddetta lomografia, moda credo nel frattempo scemata, per fortuna - frequentando un circolo fotografico online nei primi anni duemila. Di questa macchina-giocattolo mi hanno subito colpito due cose: la possibilità di avanzare la pellicola manualmente, nella misura voluta; e l’alone di mistero che alle immagini scattate con essa conferiscono quelli che, in realtà, sono suoi difetti di fabbricazione (soprattutto infiltrazioni di luce, vignettatura, messa a fuoco ed esposizione imprecise, quest’ultima sostanzialmente fissa). Caratteristiche che si prestano benissimo a ciò che poi è diventata di fatto “la mia ricerca” (uso le virgolette perché mi sorprendo sempre nell’utilizzare per me termini pomposi, considerando il mio approccio e percorso nella fotografia d’arte). Vale a dire - essenzialmente e a prescindere dai temi/soggetti delle diverse serie fotografiche che ho realizzato – il tentativo costante di rappresentare, come dici tu, “l’ambiguità intrinseca del dato reale” o, in altri termini, il fatto che la realtà è ingannevole, necessariamente filtrata dagli occhi e dal sentire di chi la osserva. Direi anzi che la realtà è multiforme, apparente e spesso (o sempre) nasconde molto di ciò che è nelle trame di quel che appare. Poiché io per primo mi sento multiforme e diverso da come posso apparire, la possibilità di rappresentare tutto ciò - grazie a una macchina fotografica che, anche con l’uso di certi accorgimenti manuali ed empirici, mi consente di selezionare e mettere insieme diversi aspetti di una realtà (di un soggetto) apparentemente oggettiva, decostruendola, ricomponendola, moltiplicandola o isolandola, oppure ancora “(dis)velandola” – ha coinciso con un desiderio espressivo molto personale. Quanto al tipo di soggetti che preferisco – essenzialmente paesaggi, urbani e non, come giustamente dici e se ben intendo l’uso del termine “persistenza” –, la mia è una scelta un po’ obbligata e, invero, per me costrittiva. Dipende infatti dalla mia difficoltà (fotograficamente parlando, se non altro) a relazionarmi con soggetti “vivi”, in particolare con le persone, che mi trovo a disagio a ritrarre, se non da lontano. Con i paesaggi, invece, sono io da solo (condizione pressoché essenziale affinché io riesca a fotografare liberamente) con ciò che voglio utilizzare come “immagine del mio pensiero”; posso stare a guardare il soggetto da ritrarre senza imbarazzi, di nessuno, per tutto il tempo che voglio, da più angolazioni, spesso facendo avanti e indietro, individuandone i particolari che mi interessano o che mi colpiscono casualmente. Mi piacerebbe riuscire a fare lo stesso col volto umano, ma temo che sia per me difficile, per più ragioni, legate anche al mezzo prediletto (la Holga) che poco si presta, per lo meno nell’uso che ne faccio io. |
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Dialogo - Marcello Ghilardi Marcello Ghilardi nasce a Milano, 28 novembre 1975. Insegna Estetica e Philosophy of Interculturality all’Università di Padova, dopo essersi formato in varie università, in Italia e all’estero (Parigi, Pechino, Kyoto). Ha sempre accompagnato alle indagini teoretiche una ricerca artistica, transitando dal fumetto, all’illustrazione, alla calligrafia giapponese e alla pittura, grazie anche a una formazione presso l’Ecole Nationale de Beaux Arts di Parigi. Tiene costantemente conferenze e seminari in Italia e all’estero, collabora con il Master in Studi Contemplativi dell’Università di Padova e con il Master in Filosofia Comparativa di Rimini; ha insegnato alla Scuola Internazionale Comics della sede di Padova. Ha esposto in diverse mostre collettive e personali, tra cui il Padiglione Italia della 54sima edizione della Biennale di Venezia (2011) e alla Prima Biennale di Taipei (2016). In ambito sia artistico che filosofico il confronto con la cultura sino-giapponese è da sempre fondamentale, specialmente per quanto riguarda l’estetica del buddhismo Zen e alcune forme di pittura informale prossima alla calligrafia contemporanea. Tra i suoi libri, L’enigma e lo specchio (2006); Una logica del vedere (2009); Filosofia dell’interculturalità (2012); Arte e pensiero in Giappone (2011); Il vuoto, le forme, l’altro (2014); L’estetica giapponese moderna (2016), La radice del sole (2019); Il simbolo di Europa (2020). Ha inoltre tradotto dal cinese il testo di Shitao, Discorsi sulla pittura del monaco Zucca Amara (2014) e pubblicato un libro d’arte, Nella distanza della luce (2014). Pierantonio Tanzola: Marcello sono curioso di sapere quale scintilla ha acceso il fuoco della passione per la filosofia e per l’arte in modo da comprendere il tuo percorso formativo. Marcello Ghilardi: Non è semplice ricostruire in modo chiaro e lineare un percorso che, per quanto mi riguarda, si è sviluppato in modo progressivo e continuo, senza “folgorazioni” o pietre miliari ma come il naturale procedere dei miei interessi. Provo a sintetizzare quelli che mi sembrano gli elementi più importanti – per ciò che vedo oggi: magari tra qualche anno potrei dire qualcosa di diverso – che hanno innescato il mio itinerario, tutt’ora in corso con aperture, deviazioni, fasi di dubbio o di stanchezza. Mio padre è designer e pittore, quando ancora vivevamo a Milano e io ero molto piccolo alla fine degli anni ’70 ricordo lo studio in cui lavorava al tavolo grafico, il laboratorio fotografico e la camera oscura con la luce rossa, i disegni preparatori. Come praticamente tutti i bambini disegnavo volentieri, fin dalla scuola materna privilegiando un poco la linea rispetto alla macchia di colore, ma amando in generale tracciare segni e figure su fogli e quaderni. Ne ho sempre ricavato un piacere fisico e mentale e questo mi ha fatto continuare anche durante l’età in cui molti smettono; una certa abilità naturale che mi attirava alcuni complimenti mi ha senza dubbio incoraggiato. Tieni poi conto che appartengo alla cosiddetta “Goldrake generation”, nata e cresciuta all’epoca della prima grande invasione di disegni animati giapponesi: la passione del disegno si è così saldata a quella per il mondo culturale giapponese, che non mi ha mai lasciato e anzi costituisce da decenni uno degli ambiti delle mie ricerche di tipo teorico. Negli anni ho seguito corsi di fumetto e di illustrazione con autori italiani e stranieri, ho praticato la calligrafia con maestri cinesi e giapponesi, ho studiato all’Accademia di Belle Arti di Parigi – mantenendo così un contatto costante e vitale con l’espressione plastica, con l’uso delle matite e dei pennelli, dell’inchiostro e del colore. L’incontro con la filosofia è nato chiaramente più tardi, negli anni del liceo; la scelta universitaria non è stata immediata o priva di incertezze, perché sono sempre stato attratto da tanti campi di studio – le lingue orientali, la psicologia e lo studio della mente, le scienze motorie, l’accademia d’arte erano ipotesi di percorsi per me plausibili e tutti altrettanto validi. Solo la filosofia però mi pareva corrispondere alle mie esigenze di “senso” e ai quesiti metafisici ed esistenziali rispetto ai quali tutto il resto sembrava secondario. Tra i diciassette e i diciotto anni alcuni libri hanno forse dato la spinta decisiva, o comunque mi hanno fatto inclinare in modo silenzioso ma ineluttabile verso un cammino propriamente filosofico. Prima di arrivare ai grandi testi filosofici di Hegel, Nietzsche, Heidegger, Derrida o Nishida, furono libri come il Daodejing, Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta di R.M. Pirsig o i Pensieri di Blaise Pascal a indirizzarmi su una strada che non ho mai abbandonato, a partire da due convinzioni che solo con il tempo mi si sono chiarite sempre più: la necessità di un confronto e di una mutua fecondazione tra pensiero europeo e pensiero asiatico, da un lato, e l’idea di una filosofia come stile di vita integrale, come modo di esistenza, non come “mestiere” che si fa per un certo numero di ore al giorno o alla settimana. Lo stesso vale per l’arte e lo sguardo sul mondo che essa genera nel soggetto. Si potrebbe definirla l’incontro di una passione con una vocazione o, in modo filosofico, la trasformazione di un carattere in un destino, e viceversa. In tutto ciò sono stati fondamentali alcuni incontri personali, in carne e ossa: il mio professore di liceo, Paolo Vidali, i professori Giangiorgio Pasqualotto e Adone Brandalise all’università, poi ancora François Jullien a Parigi, Raimon Panikkar a Barcellona, Ryosuke Ohashi a Kyoto sono le figure che più hanno segnato il mio cammino filosofico.
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Inedito - Toni Toniato e gli alberi di Virgilio Guidi Virgilio Guidi nasce a Roma nel 1891. Nel 1911, dopo aver fatto pratica di pittura dal restauratore Giovanni Capranesi, si iscrive all’Accademia di Belle Arti seguendo i corsi di Aristide Sartorio. Nel 1915 è invitato alla mostra della Secessione Romana e ad altre esposizioni. Dal 1920 inizia a d esporre alla Biennale veneziana. Sette anni più tardi ottiene la cattedra di Pittura all’Accademia di Belle Arti di Venezia. Qui ha occasione di frequentare il poeta Vincenzo Caldarelli. Nel 1935 si trasferisce a Bologna. Nel medesimo periodo espone alla II Quadriennale d’Arte Nazionale di Roma ottenendo importanti riconoscimenti. Nel 1936 e nel 1940 la galleria milanese Il Milione gli dedica due personali. Nel 1948 partecipa alla XXIV Biennale di Venezia esponendo un’importante serie di Figure nello spazio. Nel 1954 lo stesso Ente gli dedica una mostra antologica. Ottiene anche due medaglie d’oro: una nel 1957 assegnata dalla Presidenza della Repubblica ai maestri dell’arte italiana da Modigliani a De Pisis, l’altra nel 1961 conferitagli dal Presidente della Repubblica come “benemerito” della cultura. Su invito dell’Assessorato alla Cultura e delle Belle Arti di Venezia, nel 1962, allestisce una “personale” nella sala Napoleonica. Nel 1964 è presente alla XXXII Biennale veneziana. Nel 1967 partecipa a Firenze alla rassegna Arte Moderna in Italia 1915-1935 curata da Carlo Ludovico Ragghianti. Nel 1972 fu invitato a Recanati in occasione delle celebrazioni leopardiane. Durante quel viaggio l’artista, impressionato dal paesaggio marchigiano, elaborò il ciclo dei Grandi alberi che segnò un ritorno alla natura. Nel 1976 tiene una mostra antologica a Villa Malpensata a Lugano. Nel 1980 presenta un’antologica alla Casa Da Noal a Treviso. L’anno successivo celebra a Venezia i suoi novant’anni con un convegno della Fondazione Cini, all’isola di San Giorgio. Per l’occasione, gli viene consegnata la medaglia d’oro e conferita la cittadinanza onoraria. Muore nel 1984 a Venezia. Toni Toniato nasce a Venezia nel 1931. Artista, poeta, storico e critico d’arte, ha insegnato storia della critica d’arte a Firenze e storia dell’arte contemporanea a Urbino e poi a Venezia, dove è stato direttore dell’Accademia di Belle Arti. Ha partecipato al Movimento Spaziale di Lucio Fontana. Ha fondato e diretto la rivista d’arte contemporanea: Evento delle arti (dal 1955 al 1964). È stato presidente della Fondazione Bevilacqua La Masa (1980-87) e due volte commissario alla Biennale Internazionale d’arte di Venezia per la quale cura importanti mostre. Ha al suo attivo innumerevoli pubblicazioni tra queste il Catalogo generale dei dipinti di Virgilio Guidi edito da Electa nel 1997.
Dalla cima il colle scende al piano I miei alberi sono testimonianza – espressa già in qualche poesia – dalla voglia di ripigliar fiato presso le forze creatrici della natura, e sono, forse, necessari come alternativa allo spazio luce o cosmico o quello che sia, nel quale ho portato in questi ultimi anni l’occhio umano. Ho inteso dire che là, nello spazio luce, sono intellettivo, e qui, negli alberi, sono invece emotivo come fosse un ripiegamento esprimere un nuovo sentimento della natura. Ma io non ho mai saputo che l’intelletto non abbia in sé l’emozione e anche la sensazione, proprio per non correre il pericolo di divenire intellettualismo. E di imprigionare il pensiero in una sola categoria. Poi non credo che sia peccato, se mai accadrà, ripetere il cammino che Mondrian ha fatto fare al suo albero. E se accadrà, come è capitato, non sarebbe lo stesso percorso.” (V. Guidi, 1974) Questa dichiarazione dell’artista – indotto a dover spiegare le esigenze che l’avevano portato a rappresentare un ciclo tematico attorno al remoto ma inesauribile motivo iconografico dell’albero – si è voluto citarla integralmente con lo specifico proposito di ribadire, qui, quale potesse essere e sia anzi stato uno degli assunti più significativi del suo pensiero e della sua poetica: quello, che l’autore per l’appunto definisce come “sentimento della natura”. Già in precedenti occasioni Guidi aveva chiarito del resto che nell’esperienza artistica non si potesse ignorare o scartare le diverse ma non meno necessarie ragioni dell’azione della natura. Da ciò quindi un sentimento fondamentale che egli ha sentito allora di dover continuamente coltivare e rinnovare come in effetti ha saputo esprimere in modo poi inconfondibile nel lungo e diramato corso di ricerca, tanto di investire e di rivestire tale movente ogni altro impulso e significato della propria opera. E a sua volta risultare in sostanza parimenti determinante per l’incessante evoluzione sia stilistica che contenutistica di tutta la propria creatività pittorica. E nella quale la luce e il concetto spaziale della luce, ognora dai lui variamente declinati, costituiscono o diventano essenzialmente il principale medium di elezione con cui segnare e qualificare poi il relativo percorso ideativo ed immaginativo orientato, infatti, a un superamento del limite stesso tra sensibile e mentale, tra fisica e metafisica, cioè di dare senso allo stesso inquietante bisogno di vedere e di andare oltre ogni “soglia” – al di là della “siepe” – in parallelo alla medesima aspirazione che possiamo sentire e cogliere nell’Infinito di Giacomo Leopardi. (Toni Toniato) |
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Confronto - Quella voce
che mi usa... è più di me stesso Manuel Alegre in
conversazione con Marco Fazzini Manuel Alegre è nato ad Agueda nel 1936. Ha frequentato la Facoltà di Giurisprudenza a Coimbra, dove ha partecipato alle lotte contro la dittatura di Salazar. Inviato in Angola come ufficiale, nel 1962 ha diretto un tentativo di rivolta contro la guerra coloniale, andando a processo. Tornato in Portogallo nel 1964, per ragioni politiche si è esiliato prima in Francia (a Parigi), e poi in Algeria, dove ha proseguito la sua lotta antifascista. Rientrato in patria nel 1974, dopo la rivoluzione del 25 aprile, è stato eletto deputato del Partito socialista e vicepresidente dell’Assemblea da República. È un fine critico letterario, un romanziere, ma soprattutto un insigne poeta che già con il suo libro d’esordio, nel 1965, ha ottenuto unanime consenso di pubblico e di critica. Vari i suoi premi lungo una carriera lunghissima, tra cui quello dell’Associazione portoghese degli scrittori, quello Internazionale dei critici letterari, e il prestigioso Prémio Pessoa e Prémio Vida Literária per l’intera sua opera. Dal 1965 ad oggi ha scritto vari volumi di critica letteraria, tra i quali il più recente è Arte di navigare (2002), quattro romanzi, e oltre venti volumi di poesia, tra cui: Sonetos do obscuro quê (1993), Opera poetica (1999), Il libro del portoghese errante (2001), Dialoghi (2001), Doze Naus (2007), Nada está escrito (2012), e i recenti 55 Poemas (2019) e Os Sonetos (2019). In italiano sono disponibili: L’uomo del paese azzurro (1999); le poesie contenute in Inchiostro nero che danza sulla carta: antologia di poesia portoghese contemporanea (2002), a cura di Giulia Lanciani; e le sillogi antologiche Ci sarà un altro mare (2011) e Quartiere occidentale (2015).
Marco Fazzini è poeta, critico letterario e traduttore. Ha
pubblicato diversi libri e articoli sulle letterature
postcoloniali di lingua inglese, e ha tradotto alcuni tra i
maggiori poeti contemporanei, per piccoli e grandi editori
italiani. La sua storia della letteratura scozzese, Alba
Literaria, è uscita nel 2005. Nel 2012 ha pubblicato un
lavoro sulla canzone e la poesia per la libertà: Canto un
mondo libero. Le sue principali interviste a poeti
contemporanei di lingua inglese sono riunite nei volumi:
Conversations with Scottish Poets (2015) e The Saying of It
(2017). Marco Fazzini: Paul Friedrich, in un suo testo intitolato The Language Parallax (1986), nota che il linguaggio poetico è fatto di due elementi: musica e mito. Pensi sia giusta questa definizione? C’è un elemento dei due che nella tua poesia prevale sull’altro? Manuel Alegre: Ogni lingua ha la sua musica e ogni poeta trova anche la sua cadenza nella musica della lingua. Tuttavia, credo che la poesia sia questa cadenza, è una struttura ritmica, è qualcosa che non si può spiegare, è come un terremoto permanente che si riverbera dentro la parola. Nel mio caso specifico, anch’io vengo da un paese che ha una lunga storia, e la storia è fatta di tanti miti. E c’è stato un momento, nei miei primi libri, in cui la mia poesia ha decostruito i miti usati dal fascismo, li ha sovvertiti e, in una certa misura, li ha ricostruiti. Tuttavia, credo che la poesia sia linguaggio, un linguaggio poetico, e che ogni poeta crei il proprio linguaggio e la propria musica nella musica della sua lingua. MF: Questa mattina sono state citate almeno due persone importanti per la tua opera: Camões e Dante. Parliamo allora d’influenze letterarie. Pensi che ci sia stata un’influenza letteraria importante sulla tua opera, o piuttosto più influenze in periodi differenti che hanno dettato dei cambi di stile e anche di tematica? Rispondi sinceramente…
MA: Non è facile rispondere. No, non è facile... Marco Fazzini e Manuel Alegre fotografati da Pierantonio Tanzola, Università di Padova 2012
Manuel Alegre fotografato da Pierantonio Tanzola, Università
di Padova 2012
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Ritratti -Davide Corona
Davide Corona (1981), pittore, illustratore, editore e fumettista, nasce a Piacenza dove tuttora vive e lavora. Si forma all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano e dal 2006 espone in gallerie private e spazi pubblici. La sua pittura, negli anni, ha attraversato diversi periodi e stili.
Ritratto di Virgilio Guidi
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Per i testi:
©Editoriale - Pierantonio Tanzola
©Profilo - Enrico Savi, Silvia Bottani
©Dialogo - Marcello Ghilardi, Pierantonio Tanzola
©Inedito - Toni Toniato
©Confronto - Manuel Alegre, Marco Fazzini
Intervista realizzata in occasione della Giornata di Studio dedicata a
Manuel Alegre, presso l’Università di Padova il 22 maggio 2012.
La video-intervista, realizzata da Pierantonio Tanzola, (in due sezioni)
è disponibile presso:
www.youtube.com/watch?v=fjKfYCgB1LY (I parte)
www.youtube.com/watch?v=PhVS1n80tjs (II parte)
Per le immagini:
©Pierantonio Tanzola
©Davide Corona
©Enrico Savi
©Marcello Ghilardi
©Virgilio Guidi, Toni Toniato, Demarco Arte Since 1953
©Manuel Alegre
©Marco Fazzini